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La webzine Italiana dedicata ai Pink Floyd
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The Madcap Laughs
Terrapin
No Good Trying
Love You
No Man’s Land
Dark Globe
Here I Go
Octopus
Golden Hair
Long Gone
She Took A Long Cold Look
Feel
If It’s In You
Late Night
Amanda Belair
Amanda Belair, originaria di Woodstock, Georgia, è una delle voci femminili che si sono distinte negli ultimi anni per carisma e versatilità. Cresciuta in una famiglia dove la musica era di casa — con una madre pianista e un padre batterista — Amanda ha iniziato a cantare e suonare la chitarra all’età di 9 anni, sviluppando presto un legame profondo con l’arte musicale.
Durante l’infanzia e l’adolescenza ha affinato il suo talento esibendosi nei cori scolastici e della chiesa, mentre le frequenti partecipazioni a festival jazz, blues e R&B con la famiglia ne hanno formato il gusto musicale. Diplomata alla Sequoyah High School nel 2015, ha ottenuto una borsa di studio musicale per frequentare la Reinhardt University, dove ha studiato interpretazione vocale. Proprio in quegli anni ha scelto di dedicarsi alla musica contemporanea, intraprendendo un percorso da solista.
Il suo esordio mediatico è avvenuto nel 2019, quando si è esibita nel format televisivo locale 11 Alive’s Moment to Shine, guadagnandosi una prima visibilità. A seguire, ha calcato palchi importanti della scena musicale di Atlanta, come quelli di Eddie’s Attic e Smith’s Olde Bar, attirando l’interesse di produttori locali.
Uno dei momenti decisivi della sua carriera è stato l’ingresso nell’album Classic Collective del produttore Andre “MoDre” Brown, dove Amanda ha co-scritto e interpretato il brano Freedom. Questa collaborazione ha segnato l’inizio di una lunga serie di progetti condivisi con artisti dell’area di Atlanta come The Heavy, Bri Feel, Lloyd Buchanan e lo stesso MoDre.
Nel 2022 ha pubblicato il suo primo EP, My Show, in collaborazione con MoDre, un lavoro che riflette perfettamente il suo stile a cavallo tra pop moderno e R&B dalle venature soul. Il disco mette in luce la sua scrittura intima e la potenza espressiva della sua voce, caratteristiche che le hanno permesso di essere scelta da nomi di rilievo internazionale per esibirsi nei contesti più prestigiosi.
E’ presente nell’album The Lockdown Sessions di Roger Waters al coro nella nuova versione di Comfortably Numb e ha preso parte come corista al tour This Is Not A Dril e nel relativo album/video Live In Prague.
Dave Kilminster
David “Killer” Kilminster è una figura imprescindibile nelle esibizioni dal vivo di Roger Waters sin dal 2006, ma la sua carriera va ben oltre la dimensione del palco. Chitarrista britannico dal talento tecnico eccezionale e dallo stile espressivo inconfondibile, Kilminster è oggi una presenza consolidata tra i musicisti più rispettati nel mondo del rock progressivo e oltre.
La sua storia con Waters prende il via nel tour The Dark Side of the Moon Live (2006–2008), dove ricoprì il ruolo di chitarrista solista e occasionalmente anche di cantante. È stato poi una colonna portante nei successivi The Wall Live (2010–2013) e Us + Them (2017–2018), offrendo esecuzioni magistrali di brani leggendari in scenografie monumentali. Chi ha assistito a quei concerti lo ricorda anche per i suoi memorabili assoli in cima al celebre muro alto 40 piedi.
Parallelamente, Kilminster ha sviluppato una carriera solista e collaborazioni di grande spessore. Ha preso parte al progetto Icon 3 (2009) di John Wetton e Geoff Downes e ha inciso il raffinato Closer to Earth (2011), una raccolta di cover acustiche dal gusto intimista. Nel 2012 ha curato il remix e remaster del suo primo album Scarlet – The Director’s Cut, seguito nel 2014 dal secondo lavoro solista …and The Truth will set you free…, un disco personale e ricco di intensità emotiva.
Ha inoltre lavorato con artisti del calibro di Keith Emerson, Carl Palmer, Guthrie Govan, Heather Findlay e Steven Wilson, partecipando anche al mini-album 41/2 (2016) di quest’ultimo.
Ma l’influenza di Kilminster si estende anche dietro le quinte: ha operato come produttore, tecnico del suono, insegnante, e ha contribuito come scrittore e trascrittore per note riviste di chitarra, condividendo la sua esperienza e passione con nuove generazioni di musicisti.
Pur essendo un volto familiare nella formazione live di Roger Waters, Kilminster è presente in un solo album in studio, The Lockdown Sessions (2022). Tuttavia, la sua impronta artistica è ben documentata nei due live ufficiali Roger Waters The Wall (2015) e Us + Them (2020), ai quali si aggiunge ora il nuovo album live, che lo vede ancora una volta protagonista con la sua chitarra, capace di fondere tecnica, anima e presenza scenica in una miscela inconfondibile.
Dall’inizio della leg europea del This Is Not A Drill Tour, Kilminster ha iniziato ad usare chitarre Paoletti Guitars che vengono ideate e prodotte a Quarrata (PT). Sviluppate sul modello Nancy, con il corpo in castagno, sono state perfezionate su misura per Kilminster con forma telecaster e contour body della strato. Insieme a sua moglie ha curato anche il design.
Gus Seyffert
Gus Seyffert è uno di quei musicisti e produttori che sfuggono a ogni definizione rigida. Nato e cresciuto a Kansas City, Missouri, Seyffert ha costruito la propria carriera muovendosi tra le linee di confine tra generi e ruoli, affermandosi oggi come figura chiave del suono contemporaneo di Roger Waters.
Dopo il trasferimento a Los Angeles, Seyffert ha studiato contrabbasso al prestigioso California Institute of the Arts, dove ha avuto l’opportunità di formarsi sotto la guida del leggendario Charlie Haden. Ma la sua direzione artistica, sin dall’inizio, ha rivelato un’inclinazione naturale verso un approccio più ampio e sperimentale. Lasciati alle spalle i percorsi accademici, si è immerso nella vivace scena musicale della East Side di Los Angeles — tra i quartieri di Silver Lake ed Echo Park — diventando rapidamente un punto di riferimento creativo.
In quegli anni si è affermato come polistrumentista, autore e performer, collaborando con una lunga lista di artisti di primo piano come Adele, Beck, The Black Keys, Norah Jones, Michael Kiwanuka e Sia. Queste esperienze lo hanno reso un artista trasversale e profondamente eclettico, capace di fondere l’organicità dell’approccio analogico con le esigenze di una produzione moderna.
Uno dei suoi contributi più significativi è lo studio Sargent Recorders, uno spazio a Los Angeles da lui fondato e gestito, diventato negli anni un centro creativo tra i più apprezzati. È qui che Gus produce, mixa, compone e dà forma a progetti che coniugano qualità artigianale e visione sonora.
Con Roger Waters, Seyffert ha costruito un sodalizio artistico solido e duraturo, che si riflette in ogni sfumatura sonora delle recenti produzioni dell’ex Pink Floyd. La sua prima collaborazione risale all’album Is This The Life We Really Want? (2017), dove Seyffert è presente come bassista e musicista dallo stile essenziale ma pregnante. Il legame si è rafforzato con The Lockdown Sessions (2022), che non solo ha prodotto insieme a Waters, ma per il quale ha curato anche il mixaggio e l’ingegneria del suono. Lo stesso vale per The Dark Side of the Moon Redux (2023), radicale rilettura dell’opera madre dei Pink Floyd, dove Seyffert figura ancora una volta come co-produttore e mente tecnica dietro il sound intimo e minimale del progetto.
La sua presenza è ben documentata anche nel live Us + Them (2020), testimonianza visiva e sonora della collaborazione sul palco tra Waters e un ensemble scelto con cura, in cui Seyffert ha portato non solo le sue linee di basso, ma anche il suo gusto sonoro e la sua sensibilità.
Seamus Blake
Tra le voci più autorevoli e originali del jazz contemporaneo, Seamus Blake si è guadagnato nel tempo un posto d’onore nel panorama musicale internazionale grazie alla sua straordinaria padronanza tecnica, all’intelligenza compositiva e a un approccio improvvisativo che unisce rigore e spavalderia. Nato in Inghilterra nel dicembre 1970 e cresciuto a Vancouver, in Canada, Blake ha dato prova del suo talento fin da giovanissimo, intraprendendo un percorso musicale che lo ha portato rapidamente ai vertici della scena jazz mondiale.
A soli 21 anni, mentre era ancora studente al prestigioso Berklee College of Music di Boston, ricevette l’invito a registrare con il leggendario batterista Victor Lewis: un’occasione che gli spalancò le porte della scena newyorkese, dove si trasferì subito dopo la laurea. Da lì in avanti, la sua carriera si è sviluppata in maniera esponenziale, culminando con la vittoria, nel febbraio 2002, del Concorso Internazionale di Sassofono Jazz Thelonious Monk a Washington, D.C., in cui si esibì accanto a giganti del calibro di Wayne Shorter e Herbie Hancock.
Il suo talento non è passato inosservato nemmeno a John Scofield, che lo volle al suo fianco nella formazione “Quiet Band” definendolo senza esitazione “straordinario, un sassofonista completo”. Blake ha poi proseguito una carriera da leader e sideman tra le più ricche e articolate del jazz moderno, partecipando, tra le tante, a ben sei album della Mingus Big Band candidati ai Grammy Awards.
Nel 2015 ha pubblicato quello che rappresenta, a oggi, il suo progetto più ambizioso: “Superconductor”, un lavoro che fonde jazz contemporaneo, scrittura orchestrale e tecnologia, e che segna il suo debutto all’EWI (strumento a fiato elettronico). L’album vede la partecipazione di musicisti di livello assoluto come Nate Smith, Matt Garrison, Scott Kinsey, oltre a ospiti speciali come Scofield stesso e il pianista cubano Gonzalo Rubalcaba. Con quest’ultimo, Seamus ha anche collaborato nell’album Camino, nominato ai Grammy nel 2015.
Nel 2018, Blake ha spostato la sua base a Parigi, dove ha dato nuova linfa alla sua attività artistica lavorando con formazioni jazzistiche di tutta Europa e portando in tour la musica di Superconductor. Le sue collaborazioni continuano a essere numerose e di prestigio: tra i nomi ricorrenti ci sono Bill Stewart, Kevin Hays, David Kikoski, Alex Sipiagin, Eric Reed, Ethan Iverson, Chris Cheek e Matt Penman.
Un momento particolarmente curioso della sua carriera si è verificato il 4 maggio 2003, quando — durante un concerto alla Queen Elizabeth Hall di Londra con la band di Dave Douglas, in tour per l’album Freak In — Seamus si è trovato a condividere il palco con David Gilmour.
Ospite d’onore all’International Saxophone Symposium di Washington nel 2010, Seamus Blake continua a essere un punto di riferimento per il jazz contemporaneo, capace di coniugare raffinatezza e intensità in ogni nota, sempre in equilibrio tra classicità e innovazione.
Joey Waronker
Poliedrico, raffinato e sempre al servizio della musica: Joey Waronker è uno di quei batteristi che non si limitano a tenere il tempo, ma lo plasmano. Nato e cresciuto a Los Angeles, Waronker si è immerso sin da giovanissimo nella scena punk della città, muovendo i primi passi professionali ancora adolescente, aprendo i concerti di band cow punk come Los Lobos, The Blasters e X. La sua formazione artistica si è arricchita grazie allo studio con il leggendario maestro Freddie Gruber, che ha contribuito a raffinare la sua tecnica e sensibilità ritmica.
A soli vent’anni firma il suo primo contratto discografico, ma è l’inizio della collaborazione con Beck, nei primi anni Novanta, a segnare una svolta: Waronker entra a far parte stabilmente della band, sia in studio che dal vivo, contribuendo in maniera determinante al suono destrutturato e innovativo dell’artista losangelino.
La sua carriera decolla rapidamente, portandolo a diventare batterista di fiducia per artisti del calibro di R.E.M., con cui ha suonato dal vivo e registrato in studio, e a fondare progetti propri come Ultraísta e soprattutto Atoms for Peace, la superband guidata da Thom Yorke dei Radiohead e dal produttore Nigel Godrich.
Nel corso degli anni, Joey Waronker ha lavorato con un’incredibile varietà di artisti, dimostrando una versatilità che pochi batteristi possono vantare: da Paul McCartney a Johnny Cash, da Leonard Cohen a Adele, passando per Sia, Norah Jones, Elliott Smith, Neil Diamond, The Doobie Brothers, David Byrne, The Who, Charlotte Gainsbourg, Regina Spektor, M83, Tegan and Sara, Sharon Van Etten e molti altri. Le sue bacchette si muovono con identica disinvoltura tra rock, pop, elettronica e folk, fondendo groove ipnotici e sottigliezza dinamica.
Non solo batterista, Waronker è anche produttore discografico e compositore: nel 2021 ha pubblicato il disco del suo progetto personale Jomoro (assieme al polistrumentista brasiliano Mauro Refosco), per l’etichetta Sony Masterworks.
Dal 2017 è una presenza costante nell’universo di Roger Waters: è il batterista nei dischi in studio Is This The Life We Really Want?, The Lockdown Sessions e The Dark Side of the Moon Redux, oltre ad aver partecipato al tour e all’album live Us+Them. Il suo tocco inconfondibile, tanto misurato quanto emotivamente potente, si è dimostrato fondamentale nel ricreare — e talvolta reinventare — le strutture ritmiche del repertorio floydiano.
Oggi, mentre continua a dividersi tra studio e palco, Joey Waronker è attualmente in tour anche con gli Oasis, a ulteriore conferma della sua statura come uno dei batteristi più richiesti e rispettati della scena musicale internazionale.
Jon Carin
Jon Carin è una delle figure più importanti del vasto universo dei Pink Floyd. Polistrumentista, cantante, autore e produttore, Carin ha ricoperto per quasi quattro decenni un ruolo fondamentale nella storia recente della band britannica e nei progetti solisti di Roger Waters e David Gilmour. Un nome che, pur lontano dai riflettori, è diventato parte integrante della “famiglia Floyd”.
La sua avventura con i Pink Floyd inizia ufficialmente nel 1987 con A Momentary Lapse of Reason, disco in cui contribuisce come tastierista e co-autore della celebre “Learning to Fly”, uno dei singoli di maggior successo della band post-Roger Waters. Da lì in poi, la sua presenza diventa costante: partecipa al tour monumentale che segue l’uscita dell’album, torna in studio per The Division Bell nel 1994 – contribuendo anche alla tournée di supporto – e figura anche in The Endless River del 2014, raccolta postuma di inediti e improvvisazioni tratte dalle stesse sessioni di The Division Bell.
Ma la sua attività non si limita solo al mondo dei Pink Floyd. Carin è uno dei rarissimi musicisti ad aver collaborato stabilmente con entrambi i frontmen della band, David Gilmour e Roger Waters, nonostante la loro storica frattura. Con Gilmour prende parte al tour di On An Island (2006) e Rattle That Lock (2015), suonando anche il piano elettrico nel brano “Today”. Con Waters, invece, il sodalizio è ancor più duraturo e profondo: dal 1999, Jon Carin è parte integrante di tutti i tour solisti del bassista – In The Flesh, The Dark Side of the Moon Live, The Wall Live, Us + Them – e ha partecipato anche a eventi speciali come il Desert Trip e numerosi concerti di beneficenza. Inoltre ha suonato nei dischi The Lockdown Sessions e The Dark Side Of The Moon Redux.
Insieme, Waters e Carin hanno condiviso momenti storici: basti pensare al Live 8 del 2005, che ha visto la reunion dei Pink Floyd con Waters per un’unica, memorabile esibizione, e al The Madcap’s Last Laugh, tributo a Syd Barrett svoltosi nel 2007. Durante la pandemia, Carin ha inoltre contribuito alla produzione di diversi video musicali realizzati a distanza, mantenendo viva la connessione musicale con Waters e il pubblico.
La versatilità di Jon Carin è sorprendente. È in grado di suonare tastiere, chitarra, lap steel, basso, batteria, oltre a occuparsi della programmazione e della produzione. La sua carriera si estende ben oltre il mondo floydiano. Ha collaborato con artisti come The Who e Pete Townshend – con cui ha anche prodotto e fatto tour –, The Dream Academy, Fields of the Nephilim, Eddie Vedder, Bryan Ferry, Soul Asylum, Martha Wainwright e Psychedelic Furs. Con Richard Butler, voce storica dei Furs, ha scritto e prodotto l’acclamato album solista omonimo del 2006.
Uno dei momenti più significativi della sua carriera recente è la partecipazione alla residenza di 22 date di Kate Bush all’Hammersmith Apollo di Londra nel 2014, intitolata Before The Dawn, prima serie di concerti dell’artista inglese dal lontano 1979. Un progetto ambizioso ed emotivamente potente, che ha confermato ancora una volta l’affidabilità e la raffinatezza musicale di Carin.
Jonathan Wilson
Jonathan Wilson è molto più di un semplice collaboratore di Roger Waters. È un artista a tutto tondo: cantautore, polistrumentista, produttore e figura centrale della scena musicale contemporanea americana. Originario del North Carolina, Wilson è cresciuto circondato da una famiglia di musicisti. Le melodie arcaiche e i canti folk degli Appalachi e dei Blue Ridge Mountains hanno impresso un solco profondo nella sua formazione artistica, fornendogli una solida base tradizionale che avrebbe poi saputo reinterpretare in chiave moderna e personale.
Stabilitosi a Los Angeles, Wilson ha giocato un ruolo fondamentale nella rinascita della scena musicale di Laurel Canyon, quel mitico quartiere che negli anni ’60 e ’70 fu casa di Joni Mitchell, Crosby, Stills & Nash, Frank Zappa e molti altri. Oggi, grazie anche al suo impegno, Laurel Canyon ha ritrovato nuova linfa, divenendo ancora una volta un epicentro creativo.
Wilson è riconosciuto come uno dei produttori e musicisti più raffinati e richiesti della sua generazione. Il suo curriculum include collaborazioni di altissimo livello con artisti del calibro di Jackson Browne, Father John Misty, Angel Olsen, Benmont Tench, Margo Price, Erykah Badu, Bob Weir, Conor Oberst, David Crosby, Graham Nash, Roy Harper, Elvis Costello e Tom Petty and the Heartbreakers. L’ampiezza e la varietà di queste collaborazioni testimoniano non solo il suo talento eclettico, ma anche la sua capacità di inserirsi in mondi sonori differenti, portando sempre un tocco personale e riconoscibile.
Come artista solista, ha pubblicato sei album in studio, i più accolti con entusiasmo dalla critica: “Frankie Ray” (2005) – il debutto discografico con un approccio artigianale, influenze folk e rock americano, atmosfere intime e una forte componente cantautorale; “Gentle Spirit” (2011) – una dichiarazione d’intenti, psichedelico e malinconico, che lo ha messo sulla mappa degli ascoltatori più attenti; “Fanfare” (2013) – più ambizioso e orchestrale, con ospiti come Crosby e Nash; “Rare Birds” (2018) – un lavoro più sperimentale, dalle atmosfere dream-pop; “Dixie Blur” (2020) – un ritorno alle radici southern con tinte country e folk; “Eat The Worm” (2023) – un lavoro che si distingue per la sua natura avventurosa, caleidoscopica e spesso imprevedibile.
Uno snodo fondamentale del suo percorso artistico è stato l’incontro con Roger Waters, che lo ha voluto sia in studio sia dal vivo. Wilson ha suonato chitarre acustiche ed elettriche, oltre alle tastiere, nell’album Is This The Life We Really Want? (2017), in buona parte registrato nel suo studio personale, il Fivestarstudios di Los Angeles. Questo disco rappresenta uno dei capitoli più intensi della produzione solista di Waters, e la mano di Wilson è ben riconoscibile, specie nelle trame sonore stratificate e nella cura timbrica.
Ma il rapporto tra i due non si è fermato lì. Wilson ha anche preso parte a progetti successivi di Waters, tra cui il particolare e pandemico The Lockdown Sessions, e l’audace The Dark Side of the Moon Redux del 2023, dove la rilettura radicale del capolavoro floydiano è stata supportata da un team di musicisti visionari e fedeli al tempo stesso.
Parlando della sua collaborazione con Roger, Wilson ha dichiarato:
«Raramente in questa vita musicale ci imbattiamo in un artista così fondamentale e architetto sonoro come Roger Waters. Sono stato un suo fan per tutta la vita […] Da giovane mi sedevo al piano e suonavo “Gunner’s Dream” ripetutamente, meravigliandomi della sua struggente bellezza. I Pink Floyd hanno influenzato la mia musica più di quanto potrò mai realizzare.»
Parole che testimoniano l’umiltà, la passione e la profondità artistica di un musicista che è oggi, a pieno titolo, parte dell’universo creativo di Roger Waters. Jonathan Wilson incarna quel raro equilibrio tra tradizione e sperimentazione, tra radici e avanguardia, ed è proprio in questa alchimia che risiede la forza del suo percorso.
Robert Walter
Robert Walter è un musicista completo, un virtuoso dell’organo Hammond B3, delle tastiere e dei sintetizzatori, capace di muoversi con eleganza e profondità tra jazz, soul, funk e rock psichedelico. La sua carriera, lunga e sfaccettata, riflette la sua instancabile curiosità artistica e una devozione autentica per la tradizione musicale americana, che ha saputo reinterpretare con uno stile personale e riconoscibile.
Originario di San Diego, Walter è noto per essere uno dei membri fondatori dei Greyboy Allstars, band pioniera del soul-jazz moderno, tra le più influenti della scena funk e acid jazz degli anni Novanta. Con loro ha saputo fondere groove irresistibili e improvvisazioni raffinate, contribuendo a riportare in auge sonorità che affondano le radici nella musica nera degli anni ’60 e ’70.
Parallelamente, ha portato avanti un percorso solista con il suo progetto Robert Walter’s 20th Congress, dove la sua vena compositiva si è espressa in modo ancora più libero, miscelando jazz, funk e psichedelia in un viaggio sonoro caleidoscopico. Con questo ensemble ha pubblicato diversi album, affermandosi come bandleader capace di coniugare la libertà dell’improvvisazione con strutture ritmiche coinvolgenti e melodie trascinanti.
La sua esperienza non si limita però ai palchi delle jazz band. Trasferitosi a Los Angeles, ha avviato una solida carriera come session man, collaborando a colonne sonore e produzioni televisive insieme a Michael Andrews (anche lui dei Greyboy Allstars), contribuendo con le sue tastiere a creare atmosfere sonore uniche per il grande e piccolo schermo.
Profondo conoscitore dell’organo Hammond B3, Walter ne ha fatto uno strumento identitario. Il suo stile trae linfa vitale dai grandi maestri come Dr. Lonnie Smith, Art Neville e Reuben Wilson, con cui ha avuto l’onore di lavorare direttamente. La sua è una musica che celebra la spiritualità del gospel, l’energia del funk, il pathos del soul e l’estro del jazz più libero. Il risultato è un suono vibrante, che sembra muoversi tra la composizione e l’estemporaneità, sempre guidato da una sensibilità melodica innata.
Nel corso degli anni, Walter ha collaborato con giganti della musica come Fred Wesley, George Porter Jr., Bernard “Pretty” Purdie, Gary Bartz, Maceo Parker, Melvin Sparks, Andy Bey, Harvey Mason, Susan Tedeschi, Chuck Rainey e Stanton Moore, solo per citarne alcuni. Le sue tastiere si sono inserite con naturalezza tanto nei contesti jazzistici più puri quanto nelle derive funk, R&B e rock, confermandolo come uno dei più eclettici e richiesti musicisti della sua generazione.
In totale, il suo catalogo discografico conta undici album da solista, sette con i Greyboy Allstars e oltre venti collaborazioni con altri artisti. Ogni progetto è arricchito da un arsenale di strumenti che comprende tastiere vintage e moderne, organi, sintetizzatori ed effetti elettronici, con cui Walter continua a reinventarsi senza mai perdere la propria identità sonora.
La sua arte ha incrociato anche il percorso di Roger Waters, entrando a far parte della ristretta cerchia di musicisti coinvolti nei progetti più recenti dell’ex Pink Floyd. Walter è infatti presente nel brano Comfortably Numb 2022, contenuto nell’album The Lockdown Sessions, e ha avuto un ruolo fondamentale anche in The Dark Side of the Moon Redux. In queste produzioni, le tastiere di Walter si integrano in un contesto più minimale e narrativo, offrendo una nuova chiave d’interpretazione dell’universo sonoro di Waters.
Attualmente residente a Los Angeles, Robert Walter continua a esplorare i confini della musica con la stessa passione che ha animato i suoi esordi. Che si tratti di un groove funk, di una colonna sonora o di una reinterpretazione concettuale di un classico del rock, la sua firma resta indelebile: un tocco elegante e potente, radicato nella tradizione e proiettato verso il futuro.