Mucchio Selvaggio – Amused To Death

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Perché un produttore come Leonard, uno che ha lavorato con Madonna?

“Rick Chertoff, uno dei boss della Columbia a New York, mi fece i nomi di tanti produttori, alcuni dei quali li incontrai per fare dei progetti, ma quando parlai con Pat mi piacque subito: diceva delle cose giuste e poi conosceva molto bene Ia mia musica. Inoltre gli sembravano buone le cose che avevo già inciso prima che lui entrasse nel gioco, così non abbiamo dovuto rifarle”

C’era un rapporto di parità, in studio, oppure tu eri il capo e lui obbediva agli ordini?

“E’ stata una collaborazione; naturalmente si trattava del mio disco, quindi quello che dicevo io si doveva fare. In altre parole, se c’era un contrasto fra di noi – e ce ne sono stati pochi – lui si inchinava di fronte al mio istinto, anche se non era d’accordo. Questo è accaduto perché nel mio precedente album, Radio KAOS, prodotto da Ian Ritchie, io ho consentito al mio istinto di essere prevaricato dalle idee del produttore, che erano ottime, ma che non mi suonavano bene”

Ti sei mai preoccupato del successo commerciale del disco? Oppure queste cose non contano più per te?

“Certo che contano. Dipende anche da quello che intendi per successo, ma sarei disonesto se non ti dicessi che vorrei che il disco fosse un immenso best seller. Tuttavia, ci sono altri modi di avere successo. Quattro persone – la prima è la donna che amo, le altre tre sono meno importanti, ma non per questo non importanti – mi hanno detto che ascoltando la canzone Watching TV si sono messe a piangere. Quello per me è un successo pari. se non maggiore, a vendere milioni di copie di un disco”.

Non è già un grosso risultato riuscire a vendere un disco senza avere dei testi che parlano di cazzate? Tu hai sempre scritto testi che avevano un senso, ma forse in questo caso si nota un impegno addirittura maggiore.

“Sai, io non penso mai a quello che scriverò. Sono i fatti che mi affrontano, che toccano le mie emozioni. Le canzoni arrivano da lì, dal contatto che stabilisco con quello che accade intorno a me. Non è mai un processo artificiale, non penso mai:che testo ci metto su questa canzone?”

A quanto pare ci sono voluti tre anni per realizzare Amused To Death. Perché? Fino all’ultimo momento non eri soddisfatto del risultato?

“Già, proprio così. Poi non sono stato attivo sul disco per tutto quel tempo. Per fortuna non devo andare a lavorare ogni mattina. Io vivo la mia vita: vedo i miei figli, vado a pesca, leggo i giornali, vado alle corse dei cavalli, faccio quello che voglio, insomma. Poi arriva il momento in cui mi sento costretto ad entrare in sala di registrazione, mi siedo al pianoforte o mi metto la chitarra sulle gambe e inizio ad esprimere il modo in cui mi sento. Questo disco riflette soprattutto quello che ho visto alla televisione ultimamente”.

Credi che la televisione sia veramente l’arma finale? Ci renderà tutti degli idioti?

“O ci renderà degli idioti o ci risveglierà. O forse renderà qualcuno di noi un idiota e risveglierà qualcun’altro. Sarà interessante vedere, fra una cinquantina d’anni, quale capacità abbiamo – come individui e come società – di accettare le nuove informazioni che ci darà la televisione nel comprendere la nostra storia e il nostro potenziale futuro. Per esempio, nel microcosmo della musica pop, la televisione sta tentando di convincerci che l’alleanza tra la Volkswagen e i Genesis, la Pepsi-Cola e Michael Jackson sia una cosa buona; che questo matrimonio fra la musica pop e il commercio sia un progresso. Io non lo credo, ma questo è ciò che la televisione sta cercando di dirci; d’altro canto la televisione ci dà anche l’opportunità di disapprovare queste associazioni musica/business: ci fa incazzare pensando a Michael Jackson che ha venduto la canzone di John Lennon alla fottuta Nike (si riferisce allo spot con Instant Karma – ndr). Lennon si rivolterebbe nella tomba, se lo sapesse, perché non era certo quello il motivo per cui scrisse quel pezzo. Ma al commercio questo lato della faccenda non interessa. E nemmeno a Michael Jackson, come ben sappiamo. E passando ad argomenti più seri, la Tv ci ha mostrato anche come funziona la politica estera americana, per esempio al tempo della Guerra del Golfo. Potevamo vedere chiaramente che le informazioni che ci venivano date non erano vere. Le immagini erano così brillanti che bastava guardare ai loro lari per trovare le vere informazioni. Con la Bibbia in una mano e un F-16 nell’altra dicevano: ‘Siamo venuti qui a liberare il popolo del Kuwait dall’oppressore Saddam Hussein’, ma l’immagine è abbastanza ampia perché tu possa vedere che hanno i pantaloni calati e che sul culo di George Bush c’è scritto: ‘Votate per me, sono John Wayne’. George Bush non può evitare che noi recepiamo anche quel messaggio, che è il vero messaggio, o almeno parte della verità, visto che invece altri vedono solo la Bibbia e l’invocazione: ‘Liberiamo il Kuwait’. Ma credo che sia sempre di più la gente che recepisce questi messaggi, perché sa che si tratta di bugie. Lentamente, ma inesorabilmente, il vento sta cominciando a cambiare. Forse la gente inizierà a dire: ‘Mh, questi giochi televisivi sono okay, ma perché non giochiamo a carte, o ci parliamo, come facevamo una volta? Perché dobbiamo vedere altra gente che gioca quando possiamo farlo noi””.

Quando hai organizzato il concerto a Berlino, per la caduta del muro, certo non potevi immaginare che oggi la Germania avrebbe vissuto questa terribile crisi, con scorribande di nazisti e diffusi sentimenti xenofobi. Ti chiedo, sapendo bene che tuo padre è morto durante la seconda guerra mondiale, quali sono oggi i tuoi sentimenti in proposito?

“Non credevo ai miei occhi, qualche giorno fa, quando ho visto in televisione che due neonazisti facevano il saluto dopo essere stati condannati a solo quattro anni di galera per l’omicidio di uno straniero… Forse è inevitabile, quando una società è stata tenuta sotto una tale repressione per tanti anni: se poi apri il tappo uscirà fuori qualsiasi cosa. Ma se c’è una lezione che possiamo imparare è che se si dà in pasto alla gente la teoria che l’economia di mercato è la panacea per curare tutti i mali del mondo si fornisce un terreno fertile a tutti i tipi di filosofie egoistiche. Questa mentalità competitiva, nella quale ci devono essere per forza un vincitore e uno sconfitto, è la base del nazionalsocialismo. Questa filosofia nietzschiana è il fondamento del nazismo. Ma, tornando al discorso che facevamo prima, vedere queste cose ti fa capire che sono state dette un sacco di bugie, tipo che il fallimento del comunismo dimostra inevitabilmente che il capitalismo significhi il successo, che conseguentemente il comunismo è il male e il capitalismo è il bene. Quello che sta succedendo in Germania sta a dimostrare che non è vero; non che non lo si sapesse anche prima, ma la propaganda della destra lo faceva credere: ‘Vedi, avevamo ragione noi: il capitalismo è la strada giusta, il comunismo è il male’. No, non è così semplice, non è bianco e nero: c’è un’ampia zona di grigio, in mezzo. Magari il neo-nazismo in Germania ci darà l’opportunità di vedere che il sistema esaltato da tutti forse non è la risposta giusta. Allo stesso modo, se gli americani fossero abbastanza intelligenti da capirlo, vedrebbero che i disordini di Los Angeles gli danno lo stesso messaggio. Perché il cinquanta per cento degli americani non vota? Perché sa che questo gioco, questo capitalismo rampante che dovrebbe risolvere tutti i problemi, non lo coinvolge. Quello che mi affascina delle elezioni presidenziali americane è non tanto il fatto che magari Clinton sarà un po’ meno peggio di Bush, ma che tutti e due sono ossessionati dall’idea di dover competere con i giapponesi, perché credono che sia quello che gli americani vogliono sentirsi dire. Gli americani vogliono ‘battere i giapponesi’, devono trovare un nuovo nemico. Chissà, forse fra cinquanta, cento anni avranno un uomo politico che capirà che ‘battere i giapponesi’ non è la risposta. È stato già fatto nel ’45, e la cosa paradossale è che i tassisti a Los Angeles mi dicevano: ‘dovremmo radere al suolo il Giappone e riportarlo all’età della pietra’. Non è la soluzione, anche perché è stato già fatto e loro non hanno smesso di fabbricare macchine più economiche”.

Riesci a vivere una vita normale?

‘Sì, la mia faccia non è conosciutissima; ho la libertà di poter andare al pub con gli amici, di fare quello che mi va. Vivo in campagna, vicino a Cambridge, in una casa vicino a un fiume: una cosa che ho sempre voluto fare. Quando ero bambino andavo a pesca nel fiume Cam, e l’odore e la sensazione del fango che mi tocca i piedi… Per Proust era Madeleine, per me era il fango del fiume fra le dita dei piedi”.